Marco Deiana
Paracadute Serie A

Cosa è il Paracadute della Serie A? Le cifre e perché esiste

Quante volte ti sarà capitato di leggere frasi del tipo: “Quel presidente farà di tutto per retrocedere in Serie B per prendersi il paracadute della Serie A”. Nel finale di campionato di ogni stagione leggere sui social e nei commenti dei vari portali calcistici frasi di questo genere è all’ordine del giorno. In realtà è una frase senza senso, nessun presidente preferirebbe retrocedere in Serie B solamente per prendere il paracadute, senza la certezza di tornare nella massima serie dopo una sola stagione. Il campionato cadetto è imprevedibile e non sempre la squadra maggiormente attrezzata dal punto di vista tecnico e d’esperienza riesce a raggiungere la promozione in Serie A. E il paracadute aiuta i club solamente al momento della retrocessione, non oltre.

Ma andiamo per ordine.

Cosa è il Paracadute della Serie A?

Iniziamo dalle basi. Il famoso paracadute della Serie A non è altro che un sostegno economico che viene garantito dalla Lega Calcio alle tre società retrocesse in Serie B. Una cifra che i tre club retrocessi incassano entro l’inizio della stagione di Serie B e che permette di evitare crack finanziari dovuti alla evidente e netta differenza di incassi tra la Serie A e la serie cadetta. Questo sostegno permette quindi ai club retrocessi di gestire meglio l’impatto (economico) con il nuovo campionato.

Prima di parlare delle cifre garantite dal paracadute, mi sembra corretto farti capire quanto pesa economicamente la retrocessione dalla Serie A alla Serie B. Prendendo come esempio il Cagliari, la differenza di incassi – solo considerando i diritti televisivi – tra i due campionati, prendendo in considerazioni le stagione 2021-22 e 22-23 è di circa 30 milioni di euro. Senza considerare sponsor e altre voci varie.

Le cifre del Paracadute della Serie A

La Lega Calcio toglie ogni anni un massimo di 60 milioni di euro dai diritti televisivi della Serie A per il sostegno economico alle tre società retrocesse tramite, appunto, il celebre Paracadute. Non tutti i club però incassano la stessa cifra: quest’ultima dipende dal numero di anni disputati in Serie A in un periodo di tempo prestabilito. Il tutto è stato così diviso in tre fasce.

  • La Fascia A è quella dedicata alle squadre neopromosse che hanno subìto l’immediata retrocessione in Serie B dopo una sola stagione. A questi club viene garantito il sostegno economico di 10 milioni di euro.
  • La Fascia B invece è dedicata alle squadre che hanno disputato almeno due delle ultime tre stagioni in Serie A, anche non consecutive. Questi club incasseranno 15 milioni di euro.
  • La Fascia C infine è dedicata alle squadre che hanno disputato almeno tre delle ultime quattro stagioni in Serie A, anche non consecutive. Per queste società viene messo a disposizione un sostegno economico di 25 milioni di euro.

Queste cifre vengono incassate entro l’inizio della stagione successiva alla retrocessione. Il 40% viene garantito il giorno successivo all’ultima partita di campionato che ha portato alla retrocessione, il restante 60% viene pagato entro due settimane dalla prima partita ufficiale della nuova stagione (in Serie B).

Ci sono dei casi limite?

Come avrai notato, se la Lega Calcio mette a disposizione un massimo di 60 milioni di euro, potrebbero esserci dei problemi se a retrocedere fossero tre squadre di Fascia C o anche due squadre di Fascia C e una di Fascia B. Verrebbe superata la cifra massima stabilita.

In questi casi la Lega Calcio mette a disposizione i 60 milioni di euro, proporzionando le quote per ciascun club (se tutte e tre società sono di Fascia C, verrebbero garantiti 20 milioni a testa, per esempio). Se la quota da versare invece fosse inferiore ai 60 milioni, la cifra rimanente verrebbe messa da parte.

Fondo di private equity

Cosa sono e che obiettivo hanno i fondi di private equity nel calcio?

Nel mondo del calcio italiano, ma anche – più in generale – in quello europeo, si sente sempre più parlare di fondi di private equity. C’è chi punta all’acquisizione di alcune società e chi invece punta ancora più in grande, investendo sul futuro di una stessa Lega, come è successo in Spagna e come, più volte, si è discusso in Serie A. Ma se sei arrivato in questo articolo, probabilmente ti stai domandando cosa sono questi fondi di private equity e quale è il loro obiettivo nel mondo del calcio.

Cosa vuol dire private equity

Partiamo dal significato della parola private equity.

Si tratta di una forma di investimento di medio-lungo termine verso società, aziende e imprese che non sono quotate in borsa ma con un ottimo potenziale di crescita, e che permetta quindi agli investitori di poterci guadagnare sul lungo termine con la cessione delle quote della società, dopo averla portata ai massimi livelli possibili.

Insomma, per dirla in parole più semplici: è un investimento a lungo termine e come ogni investimento si cerca di riportare a casa il capitale investito e un guadagno. In questo caso però l’investitore è parte attiva del suo possibile guadagno: non dipende da terze persone ma dalla capacità di far crescere un’azienda, una società o un’impresa.

Qual è l’obiettivo dei Fondi di private equity nel calcio e in Italia?

La Serie A, e il calcio italiano in generale, viene visto come una competizione con enormi margini di miglioramento. Basti pensare che riesce a rimanere tra i più competitivi in Europa nonostante la situazione economica non esaltante, che costringe le dirigenze a sessioni di calciomercato fantasiosi, un sistema calcistico fermo ancora agli anni ’90 e una situazione legata alle strutture lontana anni luce da alcune grandi realtà calcistiche in Europa e nel mondo.

Per questa serie di fattori i club italiani, in questo momento, vengono visti come asset importanti su cui investire a medio/lungo termine. Recentemente il Fondo Elliott si è ritrovato in mano il Milan (per la mancata restituzione del debito di Yonghong Li) e nel giro di pochi anni ha riorganizzato la società, abbassando le spese e le perdite e rivendendolo a peso d’oro ad un altro Fondo di private equity.

La speranza dei fondi di private equity in Italia è che si possa dar vita finalmente ad una nuova riforma che possa rilanciare la Serie A, ma anche tutte le divisioni inferiori, portando maggiori introiti dalla vendita del diritti televisivi. Se a questo aggiungiamo anche la possibilità di costruire nuovi impianti (qui la speranza è che vengano diminuiti i paletti legati alla burocrazia) che possano generare incassi maggiori non solo nei giorni della partita, ma durante tutto l’anno, è chiaro che un investimento a medio/lungo termine su un club di Serie A potrebbe portare ad un guadagno importante da parte del fondo in caso di cessione tra 5-10-15 anni.

Due diligence

Cosa è la due diligence

Ti sarà sicuramente capitato di leggere dell’inizio della due diligence in articoli legati al cambio di proprietà di un club e/o sul possibile arrivo di nuovi soci/investitori all’interno di una società. La risposta è positiva, allora sei nel posto giusto per capire – se ancora non lo sa – cosa si intende per due diligence: cosa è, come si sviluppa e cosa comporta al club. Partiamo dalle basi: la due diligence è una analisi approfondita sul club, a partire dal bilancio passando per i fabbricati di proprietà e tutto ciò che riguarda una società, compresi debiti, inchieste e quant’altro. Se vogliamo dirlo in parole povere: si fa una sorta di panoramica totale alla società.

D’altronde è uno dei passi che viene effettuato per portare avanti un cambio di proprietà o per l’arrivo nel club di un investitore pronto a prendere quote di minoranza. Prima di completare una delle due operazioni, la persona che deve investire milioni di euro vuole assicurarsi di conoscere totalmente al situazione societaria, soprattutto dal punto di vista economico.

Quanto dura la due diligence?

Questo è un processo che può durare poche settimane ma anche diversi mesi. Dipende da tanti fattori, sia dalla grandezza della società che dalle situazioni presenti nel club e che possono creare qualche rallentamento. Durante la due diligence vengono analizzati e approfonditi criteri come l’aspetto finanziario del club, le operazioni, i rischi legali, i dipendenti e tutti quegli aspetti legati alla società che serviranno poi all’investitori per prendere una decisione definitiva. Non è detto infatti che una volta avviata la due diligence si vada verso la fumata bianca dell’operazione, che esso sia un cambio di proprietà o l’arrivo di un nuovo socio.

Sicuramente la durata di questo processo dipende anche dall’importanza del club. Se quest’ultimo ha tanti interessi anche a livello internazionale, il tempo per reperire le informazioni necessarie per una valutazione a 360 gradi si allunga.

Le fasi della due diligence

Per portare avanti la due diligence e quindi analizzare da cima a fondo la situazione di una società, si seguono alcuni step, eccoli riportati:

  • Fase preliminare – Qui vengono raccolte le informazioni di base sulla società e viene eseguita una valutazione più approfondita, soprattutto si controlla tutta la documentazione finanziaria e legale, e si inizia a contattare il management e il personale del club per porre qualche domanda;
  • Fase dei professionisti – Una volta ottenuta la documentazione, le carte vanno in mano ai professionisti: dagli avvocati ai consulenti finanziari passando per commercialisti e altri esperti a seconda delle analisi necessarie;
  • Fase finale – È tempo dei risultati. Tutto potrebbe essere andato liscio come l’olio oppure le analisi delle documentazioni potrebbero aver portato alla luce qualche situazione a rischio o qualche problema futuro. A questo punto sarà compito dell’investitore decidere se proseguire con l’operazione – cambio di proprietà o ingresso come socio di minoranza -, provare a rinegoziare cambiando alcuni termini o addirittura le cifre dell’affare, oppure può anche farsi da parte decidendo di chiudere la trattativa e annullare l’investimento.
Valore di un club di calcio

Come viene calcolato il valore di un club di calcio

Ti sei mai chiesto come viene calcolato il valore di un club di calcio, soprattutto quando questo è al centro di una trattativa per il passaggio di proprietà? Se la risposta è sì, allora sei nell’articolo giusto. Con questo pezzo proverò a spiegare come avviene il calcolo e quindi come viene decisa la cifra necessaria – teoricamente – per l’acquisto di un club.

Dico teoricamente perché il valore di un club dipende da una serie di fattori e, soprattutto, la cifra potrebbe lievitare se la proprietà non ha alcun interesse a cedere un club. Insomma, la valutazione di per sé può essere anche soggettiva e può variare a seconda del metodo utilizzare per calcolarla e dalle aspettative degli acquirenti.

Calcolare il valore di un club di calcio considerando i criteri principali

Ci sono alcuni parametri che entrano in gioco quando si decide di calcolare il valore di una società sportiva. In primo luogo non può che esserci il valore della rosa, considerando naturalmente i giocatori di proprietà del club, seguono i diritti televisivi, ad oggi una delle entrate più importanti (almeno in Italia), ma anche la questione relativa allo stadio (di proprietà o meno) e delle strutture d’allenamento. Vengono prese in considerazione anche le partnership e le sponsorizzazioni già sottoscritte, così come la crescita (o meno) del brand a livello nazionale e/o internazionale. Infine, naturalmente, va inserita anche la situazione finanziaria generale del club, i risultati sportivi, la popolarità e le prospettive future.

Un insieme di caratteristiche che determinano la valutazione del club. Andiamo ad analizzarle nello specifico.

  • Valore della rosa – Il riferimento è alla valutazione dell’intero parco giocatori di proprietà del club. I giocatori infatti rappresentano un importante capitale per la società;
  • Diritti televisivi e biglietteria – L’incidenza media dei diritti tv nel fatturato di un club italiano di Serie A è di circa il 50%. Per questo motivo non può che entrare in gioco nel calcolo del valore di un club. E per quanto riguarda il calcio italiano, la differenza tra un club di Serie A e un club di Serie B è enorme. Un criterio importante è anche la quota di abbonamenti annuali e la capacità di riempimento di un impianto, ciò fa capire quanto i tifosi siano vicini al club e quanto margine ci sia per aumentare le entrate da stadio;
  • Stadio e centro sportivo – Avere uno stadio di proprietà fa tutta la differenza del mondo nel calcio. Si evitano spese di affitto e rappresenta un punto di forza, stesso discorso si può fare per il centro d’allenamento;
  • Sponsor e partnership – Avere tanti sponsor è sicuramente un buon modo per presentare un club in caso di cambio di proprietà. In primo luogo perché garantisce entrate economiche (le sponsorizzazioni possono rappresentare fino al 30% del fatturato di un club), ma anche perché misura la commercializzazione della società;
  • Valore del brand/marchio – Un brand e/o un marchio in crescita permette di portare a casa nuovi tifosi, sponsor e partnership, così come aiuta nella comunicazione giornaliera ma anche nell’acquisto di eventuali giocatori internazionali che possono aumentare il valore della rosa. Al contrario, un marchio poco conosciuto non crea margini di crescita dal punto di vista social, comunicativo e economico al club;
  • Situazione finanziaria – Il bilancio del club è essenziale nel calcolo del valore di un club. Un basso indebitamento e la presenza di utili porterà ad una valutazione più alta, così come una situazione debitoria pericolosa porta la società ad essere valutata poco;
  • Risultati sportivi – Non si può non considerare anche ciò che avviene sul campo. Vincere aiuta a far crescere il marchio e di conseguenza e di conseguenza aiuta a portare in squadra giocatori di livello superiore;
  • Popolarità – Sicuramente avere una grande base di tifosi, a livello nazionale e a livello internazionale, garantisce al club un punto di partenza importante per aumentare/migliorare le sponsorizzazioni o le partnership, ma anche a generare entrate maggiori dalla biglietterie e dal merchandising;
  • Prospettive future – C’è una grandissima differenza tra un club in espansione con grandi margini di crescita e un club che ha già raggiunto il suo punto più alto possibile.

Tramite tutta questa serie di parametri e criteri e possibile calcolare il valore di un club di calcio. Attenzione a non confondere il valore di un club con il valore della rosa di un club. Infatti – come abbiamo visto in questi criteri – il valore della rosa è uno dei tanti parametri che permettono di creare una valutazione sul club in caso di cessione ad un nuovo proprietario.

Clausola rescissoria

Cosa è (e come funziona) la clausola rescissoria

Non è raro leggere durante le sessioni di calciomercato, che esse siano invernali o estive, di trattative legate alla clausola rescissoria presente sul contratto di un giocatore. Ti sarà sicuramente capitato di leggerlo. E uno dei principali trasferimenti di mercato della storia del calcio è stato effettuato proprio sfruttando questo particolare. Che poi, ad onor del vero, il termine più corretto da utilizzare sarebbe quello di clausola di recesso, ma ormai nel giornalismo sportivo è più conosciuta come clausola rescissoria. In termini poco tecnici, si tratta di una clausola presente sul contratto che lega un giocatore ad un club con una cifra fissa – e non variabile – che può essere utilizzata per strappare il contratto.

Storia della clausola rescissoria

Come detto poco sopra, il termine clausola rescissoria non è del tutto corretto. Infatti – almeno considerando il diritto civile italiano – la rescissione di un contratto (in generale, non solo nel calcio) è possibile solamente in caso di pericolo e in caso di lesione.

Per questo motivo è più giusto definirla clausola di recesso ed è nata nel 1985 in Spagna per dare una sorta di libertà contrattuale agli atleti professionisti, senza però creare dei danni alla società. Proprio per questo motivo è stato creato questo indennizzo che un calciatore può sfruttare per liberarsi del contratto attivo con un club.

Chi paga la clausola rescissoria?

Al contrario di quanto si possa pensare, la clausola rescissoria (o clausola di recesso) deve essere pagata dal calciatore al club. Insomma, teoricamente una società non può pagare ad un’altra società l’indennità prevista dalla clausola per liberare un calciatore ma deve essere quest’ultimo a versare tutta la cifra al club.

Eppure nella comunicazione giornalistica sportiva questa regola sembra spesso sfuggire. Quando si parla di clausola rescissoria ci sono coinvolte due società e il calciatore fa quasi da spettatore.

Un particolare non di poco conto è quello legato al tipo di pagamento. Per attivare la clausola, l’indennizzo deve essere pagato tutto subito in un’unica soluzione. Poi capita, non di rado, che le società riescano a trovare un accordo che vada oltre la clausola rescissoria, ossia l’affare si chiude alla stessa cifra prevista nella clausola ma magari con pagamento rateizzato (come nel caso di Gonzalo Higuain quando passò dal Napoli alla Juventus, il trasferimento si è chiuso alla stessa cifra della clausola ma senza sfruttarla perché il pagamento è avvenuto rateizzato dopo un accordo tra le parti).

Un esempio di trasferimento tramite la clausola rescissoria

Qual è il trasferimento più oneroso della storia del calcio? Ti anticipo io: Neymar, passato dal Barcellona al Paris Saint-Germain per una cifra intorno ai 222 milioni di euro. Ecco, teoricamente quella cifra è stata versata dall’attaccante brasiliano al club spagnolo per liberarsi del contratto e trasferirsi a Parigi. In teoria è la stessa società francese ad aver versato – probabilmente tramite il giocatore – la cifra nelle casse della società blaugrana.

Da indennizzo a metodo per blindare un calciatore?

Nato come indennizzo per non rendere gli atleti schiavi dei contratti, senza però snaturare il contratto firmato con un club, con il corso del tempo è diventato un metodo per blindare i calciatori. Soprattutto in Spagna – dove ad ogni contratto è obbligatorio inserire una cifra come clausola di recesso – le cifre di indennizzo hanno raggiunto valori improbabili, con calciatori appena usciti dai settori giovanili che si ritrovano clausole da 200 milioni di euro o elementi di assoluto valore come Benzema che toccano anche il miliardo di euro, cifre irraggiungibili per qualsiasi proprietario di club al mondo.

In altri casi invece, la clausola di recesso – o clausola rescissoria, come siamo abituati a chiamarla – viene utilizzata per convincere i giocatori ad accettare una determinata destinazione. Con una cifra alla portata di alcuni club, si dà la possibilità al calciatore di accettare un contratto con la consapevolezza che da un momento all’altro potrebbe trasferirsi in una miglior squadra proprio grazie ad una cifra già stabilità al momento della firma, superando il rischio di rimanere bloccati in una squadra di piccola o media grandezza a causa delle esigenti richieste della dirigenza al momento di sedersi al tavolo delle trattative per una sua ipotetica cessione.

Tipi di prestito nel calciomercato

Le tipologie di prestito nel calciomercato

La formula del prestito nel calciomercato è una delle operazioni più gettonate degli ultimi tempi. In passato è stata una formula sfruttata per cedere a titolo temporaneo un calciatore giovane ad una squadra di livello inferiore per permettere all’atleta di giocare con più regolarità e crescere. Oggi invece, con la crisi economica che ha colpito anche il mondo del pallone, la formula del prestito viene utilizzata – più spesso – per evitare di mettere a bilancio un’operazione di mercato, posticipando l’investimento di uno o due anni. Con il passare delle stagioni infatti il mondo del calciomercato ha visto moltiplicarsi le formule di trasferimento, con una creatività senza precedenti tra gli addetti ai lavori. E tra queste formule, anche il prestito ha visto una serie di combinazioni nuove di zecca.

D’altronde quando manca la materia prima per completare le operazioni di mercato, ossia il denaro, i direttori sportivi sono costretti a fare le classiche nozze con i fichi secchi pur di accontentare l’allenatore di turno. Se sei arrivato in questo articolo sicuramente la tua curiosità sta tutto nel conoscere quanti tipi di prestiti nel calciomercato sono presenti attualmente e sono qui per risolvere questo tuo dubbio.

Il prestito secco

Un tempo la formula più utilizzata per un prestito nel calciomercato è quello definito secco. Si tratta di una cessione a titolo temporaneo di un giocatore da una squadra A ad una squadra B (spesso la squadra A è di categoria, o almeno di livello, superiore) senza alcun diritto sull’acquisto futuro dello stesso atleta. Si tratta di un prestito senza alcuna spesa da parte del club che riceve il calciatore, che in cambio – al massimo – dovrà garantire all’atleta un minutaggio importante in campo per poter crescere.

Come scritto poco sopra, questa formula di prestito secco sta andando un po’ scemando con il passare delle stagioni. Raramente una squadra – se non in grossa difficoltà finanziaria – preferisce far crescere un giocatore di un altro club piuttosto che dare spazio ad un giovane cresciuto nel proprio settore giovanile. L’ingaggio del giocatore può essere pagato interamente dal club proprietario del cartellino o da chi ne acquista – temporaneamente – le proprie gesta.

Il prestito oneroso

Tra le altre formule di trasferimento temporaneo c’è il prestito oneroso. Come dice la parola stessa, al contrario del prestito secco, in questo caso il proprietario del cartellino riceve in cambio una somma di denaro per la cessione momentanea di un giocatore. Spesso questo tipo di soluzione è seguita da una cifra prestabilita per il riscatto del calciatore (che ti illustrerò tra poco). Anche in questo caso l’ingaggio annuale del calciatore può essere pagato da uno dei due club o al 50% da entrambe le società.

Il prestito con diritto o obbligo di riscatto

Ed ecco invece la formula del prestito nel calciomercato più utilizzata nelle ultime stagioni. Si tratta del prestito – secco o oneroso – con diritto oppure con obbligo di riscatto. Quale è la differenza tra le due operazioni di mercato? Quando l’affare viene chiuso con un prestito con diritto di riscatto, il club che riceve temporaneamente il calciatore potrà usufruire di un diritto di riscattare l’intero cartellino dell’atleta a determinate condizioni economiche (sottoscritte al momento della firma del prestito). A questo punto la società può decidere o meno di acquistare il calciatore al termine dell’anno in prestito.

Il prestito con obbligo di riscatto invece, come preannuncia la parola stessa, costringe il club a riscattare il cartellino del calciatore al termine del prestito. Anche in questo caso le cifre vengono concordate prima della cessione in prestito e possono esserci tante varianti. Infatti l’obbligo di riscatto è sempre legato – per questioni legali – a determinate condizioni. Quando l’intenzione è semplicemente posticipare l’investimento (come accade spesso, soprattutto quando bisogna fare i conti con dei bilanci in sofferenza) di una stagione si cercando condizioni facilmente raggiungibili, mentre in altri casi le condizioni sono un po’ più complesse e sono legate ai risultati sportivi della squadra.

Le possibili condizioni per far scattare l’obbligo di riscatto

  • Numero presenze in campionato
  • Qualificazione ad una competizione europea
  • Conquista della salvezza
  • Numero di presenze e/o gol
  • Posizione in classifica

Altre formule di prestito

Alle formule di prestito nel calciomercato già citate, posso aggiungere altre due opzioni. La prima è quella del prestito biennale e la seconda è quella del controriscatto. Nel primo caso, il trasferimento temporaneo di un calciatore è fissato per almeno due anni e quasi sempre è legato ad un diritto o un obbligo di riscatto del cartellino; nel secondo invece, in un prestito con diritto o obbligo di riscatto viene inserito anche un controriscatto a favore del club proprietario del cartellino. Per esempio Squadra A cede in prestito con diritto di riscatto un atleta e ottiene il controriscatto, ossia la possibilità di riacquistare il calciatore – ad una cifra superiore – in caso di riscatto da parte della Squadra B.

Una piccola curiosità sulla formula del prestito è quella legata al contratto del calciatore coinvolto. Un giocatore non può trasferirsi a titolo temporaneo se il suo contratto è in scadenza entro dodici mesi. La sua scadenza deve essere almeno di 24 mesi, che salgono a 36 mesi in caso di prestito biennale. Naturalmente ciò è regolamentato per evitare che un giocatore possa trasferirsi in prestito e in scadenza di contratto.

Lista UEFA

Lista UEFA: cosa è, come funziona e regole

Il periodo che coincide con la fine delle sessioni estive e invernali di calciomercato viene dedicato alla presentazione della Lista UEFA da parte dei club che parteciperanno alle competizioni europee per club, dalla Champions League all’Europa League fino alla Europa Conference League. Se sei entrato in questo articolo, probabilmente ti starai chiedendo perché una società debba presentare un elenco di giocatori e quali siano le regole.

Infatti da regolamento UEFA non tutti i giocatori presenti in una determinata squadra possono giocare i match europei. Ci sono delle limitazioni e delle regole che costringono i club a presentare una lista di venticinque giocatori con determinati paragrafi. Ti sarà capitato sicuramente di sentire dell’acquisto di un calciatore utile per le liste europee oppure della promozione di un giocatore dal settore giovanile alla prima squadra per poter rispettare la lista Champions League (o di una delle altre due competizioni europee). Ci sono diverse mosse di mercato che sono legate perlopiù alla creazione della Lista UEFA.

Detto ciò, in questo articolo proverò a spiegarti nel dettaglio come funziona la Lista UEFA, quali sono i suoi ostacoli e le sue regole ma anche alcuni modi per superare alcune limitazioni.

Le regole generali

Il regolamento UEFA impone alle società partecipanti ad una competizione europea per club di presentare un elenco di 25 calciatori (compresi 2 portieri) che potranno scendere in campo in Champions League, Europa League e Europa Conference League. Ma di questi venticinque giocatori, otto devono essere cresciuti in club appartenenti alla stessa federazione. Per esempio, un club italiano deve presentare una lista con 25 giocatori di cui 8 cresciuti in un settore giovanile italiano. Attenzione però, di questi otto, 4 devono essere cresciuti nel club che sta presentando la Lista UEFA. Per esempio, il Milan per partecipare ad una competizione europea dovrà presentare una lista di 25 calciatori, di cui 4 cresciuti nel settore giovanile rossonero e 4 cresciuti nel settore giovanile di un qualsiasi club italiano.

Cosa succede se un club non ha quattro calciatori cresciuti nel vivaio? In quel caso devi immaginare che ogni giocatori debba coprire uno slot, in questo caso il club dovrà lasciare liberi gli slot dei giocatori che mancano all’appello. Quindi se per esempio al Milan dovessero mancare tre calciatori cresciuti nel vivaio, la società rossonera presenterà una Lista UEFA con soli 22 calciatori (con 2 portieri, 4 calciatori cresciuti in un settore giovanile italiano e un solo calciatore del vivaio).

Rappresentazione della Liste UEFA

1PORTIERE
2PORTIERE
3PORTIERE / SLOT LIBERO
4SLOT LIBERO
5SLOT LIBERO
6SLOT LIBERO
7SLOT LIBERO
8SLOT LIBERO
9SLOT LIBERO
10SLOT LIBERO
11SLOT LIBERO
12SLOT LIBERO
13SLOT LIBERO
14SLOT LIBERO
15SLOT LIBERO
16SLOT LIBERO
17SLOT LIBERO
18CRESCIUTO NEL VIVAIO NAZIONALE
19CRESCIUTO NEL VIVAIO NAZIONALE
20CRESCIUTO NEL VIVAIO NAZIONALE
21CRESCIUTO NEL VIVAIO NAZIONALE
22CRESCIUTO NEL VIVAIO
23CRESCIUTO NEL VIVAIO
24CRESCIUTO NEL VIVAIO
25CRESCIUTO NEL VIVAIO

Giocatori cresciuti nel club o nella federazione

Fin qui (forse) è tutto ok. Ma ora forse è meglio approfondire la questione relativa agli slot dedicati ai giocatori cresciuti nel club o nella federazione di appartenenza. Allora partiamo con i calciatori cresciuti nella Federazione. Si tratta degli atleti cresciuti nel settore giovanile di un club italiano (per quanto riguarda le italiane), ossia deve aver giocato in un club del nostro Paese per almeno tre anni – anche non consecutivi – tra i 15 e i 21 anni d’età.

Il calciatore cresciuto nel vivaio del club invece, è abbastanza scontato. Si tratta dell’atleta che ha giocato almeno tre anni tra i 15 e i 21 anni d’età nel club.

Cosa è la Lista B

Sapevi dell’esistenza di una Lista B? Questa lista – infinita e aggiornabile giornata dopo giornata – è dedicata ai giocatori Under 21. Per calciatore Under 21, nella stagione 2022-23, si intende l’atleta nato dal 1° gennaio 2001. Lo stesso calciatore però deve aver giocato almeno due anni consecutivi (dal 15esimo anno d’età) nel club. Non c’è un limite di calciatori registrabili attraverso questa lista, anche se – a dirla tutta – viene sfruttata perlopiù per inserire i calciatori della Primavera che possono essere utili durante il cammino europeo.

Quando è possibile modificare la Lista UEFA

La presentazione della Lista UEFA avviene nei primi giorni di settembre. Ogni anno la Federazione Europea stabilisce una data che salvo situazioni particolari (vedi periodo della pandemia) corrisponde ai giorni successivi alla chiusura del mercato estivo, che nelle principali leghe europee avviene il 31 agosto. Una volta presentata la lista, i club non potranno più modificarla fino ai primi di febbraio. La prima lista presentata infatti sarà valida per tutta la fase a gironi delle competizioni (che essa sia Champions League, Europa League o Europa Conference League). Alla conclusione della sessione invernale di mercato, la UEFA permette tre cambi dalla lista. Questi tre cambi vengono spesso sfruttati per inserire nuovi acquisti o giocatori inizialmente esclusi per scelta tecnica o per infortuni lunghi.

Le eccezioni

Come in ogni regolamento, ci sono dei casi estremi o – in questo caso – delle eccezioni. La prima è quella che permette ai club impegnati negli spareggi per accedere alla fase a gironi delle tre competizioni europee di poter aggiornare la Lista UEFA di volta in volta fino all’atto finale dei playoff. La seconda invece, forse poco conosciuta a livello generale, è quella che permette al club di sostituire temporaneamente i portieri che – una volta presentata la lista – subiscono infortuni superiori ai 30 giorni. Il motivo appare abbastanza chiaro: permettere ad ogni società di presentarsi con portieri di ruolo in campo e non calciatori adattati, con il rischio di falsare il torneo.